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Un Caffè 2.0 con Nicola Lagioia

Ma quanto parla Nicola Lagioia? A questa domanda ha risposto lui stesso prima ancora che ce la ponessimo all’inizio del Caffè 2.0 che ha preso con noi qui da Eggers. Beh, tanto. Il motivo, dice, è che è abituato a parlare in radio, dove un giorno gli hanno gentilmente spiegato che per fare questo lavoro «puoi dire tutte le cazzate che vuoi, ma l’importante è che non ti stai mai zitto». Così, Nicola ha sviluppato una sindrome da horror vacui che lo porta a parlare come un fiume in piena dopo un temporale (e un temporale di quelli grossi). Ma quello della radio è solo un aspetto della concitata vita di Nicola: con rispetto e sostegno morale per la sfida che si porrà a chi dovrà stilare la sua biografia, confermiamo che in barba alla sua giovane età Lagioia ne ha fatte davvero di ogni.

È proprio qui a Torino che, in un certo senso, comincia la sua avventura. Ventitreenne, si presenta al Salone con un plico di CV sotto al braccio per gli editori delle case indipendenti italiane: «gli anni Novanta – ci racconta – sono stati il periodo d’oro per l’editoria indipendente in Italia e a Roma in particolare». E infatti Nicola finisce lì, assoldato da Castelvecchi: in quei primi due anni, in una casa editrice intelligente e felicemente incoerente come ogni realtà che osa sperimentare, Nicola impara il mestiere facendo essenzialmente di tutto ciò che può venirgli chiesto di fare – dalla correzione bozze all’impaginazione, passando per il sequestro di persona che subisce da parte di un burbero tipografo a causa piccole quisquilie irrisolte con il suo capo che, una volta chiamato in soccorso, lo consola consigliandogli di cercare una finestra da cui scappare.

Poi, lavora per Laterza – un ambiente di prestigio ma che, forse, sente troppo istituzionale per le inclinazioni della sua giovane età – e approda a minimum fax. Lì, il suo entusiasmo per la lettura e per la valorizzazione dei manoscritti che la casa riceve – «insistevo, insistevo, insistevo per quei libri» – lo porta a diventare il direttore della collana narrativa italiana, nichel, ma anche ad imparare che un buon editor non ha solo il compito di leggere, valutare e selezionare ciò che riceve: ha, piuttosto, la missione di trovare intorno a sé un futuro autore, di scovarlo ovunque si trovi – tra manoscritti cartacei e blog – perché poi «si capisce subito chi pubblicherà e chi no, chi è bravo davvero». Mentre negli anni Duemila le mode cambiano, ad esempio la preferenza accordata da minimum agli autori americani (alcuni dei quali è la prima a tradurre in Italia e a volte in Europa – un certo David Foster Wallace dovrebbe dirvi qualcosa e un certo Eggers dovrebbe dire qualcosa a noi), Nicola inizia a lavorare a Rai Radio 3, dove conduce il programma Pagina 3 (e dove fa sua la parlantina di cui sopra).

Non pago, Nicola viene chiamato per tre anni di seguito a far parte dei selezionatori della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nella pace del Lido – «se Thomas Mann ha deciso di ambientare la sua opera sulla morte al Lido di Venezia c’è un motivo» – Nicola e gli altri selezionatori guardano film per dodici ore al giorno, di fronte all’impresa di riuscire a selezionarne 65 su circa 1200. Questa sfida è complessa al di là dell’aspetto numerico: ci sono le contrattazioni e i compromessi con i produttori, ci sono i disaccordi tra selezionatori in merito ai film da bocciare, ci sono i rapporti con la giuria (per la quale hanno voluto e ottenuto, cosa non scontata, la significativa presenza di Bernardo Bertolucci). Poi c’è il festival: un momento delicato in cui la folla del pubblico invade la pace eremitica del Lido e giudica con sprezzo o superficialità o facile entusiasmo le pellicole che Nicola, Barbera e gli altri hanno selezionato con tanto amore e che hanno visto, a volte, arrivare in misteriose valigette scortate da altrettanto misteriose guardie del corpo. Ma c’è anche tanto di meraviglioso, ci spiega. Al di là del miracolo privato di Nicola, che dovendo declinare le numerose offerte di collaborazioni proprio perché bloccato sull’isola per alcuni mesi all’anno trova una pace che lo guarisce addirittura dalla psoriasi – milleduecento film dal mondo si traducono in milleduecento finestre sullo stesso: «capisci davvero cosa succede nei vari paesi, è la scoperta la cosa più bella di Venezia».

Nel frattempo, Nicola vince il premio Strega con La Ferocia. Sì, perché in tutto questo la sua vocazione prima è quella dello scrittore, una passione cui si attiene con metodo. «Il mio segreto è andare a dormire presto e svegliarmi presto», ci confida. Ma non avevamo capito quanto: considerando che Nicola scrive rigorosamente «sulle quattro o cinque ore al giorno, tutti i giorni», di fatto, ci sono periodi della sua vita in cui si sveglia alle quattro del mattino se non può fare altrimenti. Non è solo il monte ore ad essere sistematico, perché sembra esserci una regola personale anche per quanto riguarda le storie che Nicola sceglie di raccontare: «spesso, tra quelle che ho dentro di me, sono quelle più dolorose, per cui devo scavare di più e sintonizzarmi di volta in volta con una nuova storia è un procedimento complesso, perché devo dare forma ad un’urgenza che è astratta e da definire». Rigoroso sembra anche il desiderio di scrivere sempre un libro diverso dall’altro che guida Nicola dall’inizio del suo percorso e che si riconferma anche per quanto riguarda il prossimo romanzo, che esce tra un annetto. Ci ha spoilerato la trama ma, come capirete tra qualche mese, ci sono troppi avvocati di mezzo in questa storia per non temere una denuncia nel rivelarla in questa sede.

«Solo la realtà, a volte, può permettersi il lusso di essere tanto inverosimile»

Dal 2016 è anche direttore di quella realtà tanto affascinante quanto complessa da gestire che chiamiamo Salone del Libro di Torino: «mi hanno incastrato – scherza – perché mi hanno fatto questa proposta e mi hanno detto che non era niente di difficile, giusto organizzare qualche presentazione…». E Nicola, in merito a questa esperienza torinese ma guardando anche ad altre realtà nostrane, ci dice che – al di là degli allarmismi e dei titolismi apocalittici da quotidiani online – in Italia l’arte è viva. A livello di cinema, a livello di editoria, a livello culturale in generale: nel mondo i talenti continuano a nascere e, nonostante forse sia la nostra ricezione ad essere cambiata, l’uomo dimostra ancora oggi di non poter sopravvivere emotivamente senza l’arte.

Nicola Lagioia

Direttore del Salone del Libro di Torino, scrittore, conduttore radiofonico e molto, molto altro.

Un Caffè 2.0 con Nicola Lagioia

Dal 2016 è anche direttore di quella realtà tanto affascinante quanto complessa da gestire che chiamiamo Salone del Libro di Torino.